- Nato in Città Alta
Viva il parroco!
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Fede e banchetti
Nel tardo pomeriggio del 2 giugno 1963, Piero Gardoni capitano dell’Atalanta alza al cielo la Coppa Italia, ad oggi l’unico trofeo presente nella bacheca nerazzurra.
Trascorrono poco più di ventiquattro ore e si spegne Papa Giovanni XXIII. Per la gente bergamasca si passa da una gioia intensa, seppur limitata al frivolo mondo del pallone, a un dolore immenso per la morte dell’amato Papa Buono.
Da quel giorno, però, Bergamo divenne meta irrinunciabile di un turismo religioso molto fervido e intraprendente. Un’onda lunga, lunghissima, che si propagò per quasi due decenni in cui i fedeli, dopo aver visitato la casa natale di Angelo Roncalli a Sotto il Monte, venivano a scoprire le bellezze di Città Alta.
Per la pausa ristoratrice del pranzo molti di questi gruppi organizzati si fermavano da Mimmo. In questi casi, è abitudine consolidata concordare precedentemente il menù attraverso l’agenzia di viaggi che ha pianificato la trasferta. Quella volta, invece, non tutto andò per il verso giusto e il fin troppo entusiasta gruppo parrocchiale di Rosarno, un paese della piana di Gioia Tauro in provincia di Reggio Calabria, ci diede davvero molto filo da torcere.
Di quei calabresi veraci e passionali tutti noi italiani dobbiamo esserne orgogliosi. Rosarno è il primo Comune d’Italia a essersi costituito parte civile in un processo contro la mafia, ottenendo anche un risarcimento dei danni patrimoniali, morali e di immagine causati dai malavitosi.
Il pranzo incontrollabile
Appena seduti ai tavoli del ristorante, in quell’occasione i nostri amici rosarnesi si dimostrarono sorprendentemente indisciplinati. In un vociare continuo al limite della gazzarra, cominciarono a richiedere piatti fuori menù e vini non previsti.
Era un gruppo davvero numeroso, una cinquantina di persone, e i nostri camerieri – anche i più esperti come Gildo e Genio – non riuscivano più a gestire la situazione. Così, nella frustrazione più totale, mi implorarono di intervenire.
Conoscendo i lati più ruvidi del carattere che distingue la stirpe calabrese, il cui sangue mi scorre con orgoglio nelle vene, dovevo agire con estrema diplomazia. Mi rivolsi quindi al parroco, l’indiscusso capo di quella spedizione in terra lombarda, un uomo di bassa statura ma dalla stazza decisamente importante, un “omo de panza e de sostanza” che irradiava autorità e carisma.
Gli spiegai con garbo la situazione, informandolo che non era possibile cambiare il menù e che bisognava attenersi a ciò che avevamo concordato. Il prelato mi ascoltò annuendo solennemente tutto il tempo, dopodiché si alzò e con un gesto plateale della mano chiese il massimo silenzio all’intera tavolata. Senza offrire alcun diritto di replica impose ai suoi conterranei di rispettare la regola del menù prestabilito con l’unica concessione di poter scegliere tra vino bianco e vino rosso.
I parrocchiani ubbidirono alla loro massima autorità e io, felice di poter finalmente far partire il banchetto, mi avvicinai nuovamente al religioso per ringraziarlo. Lui mi strinse con forza la mano e mi sussurrò all’orecchio: “A me il vino piace rosato, ci siamo intesi?”.
Il re non porta corna
Restai impietrito. Avrei voluto rispondere che non era giusto, che il suo atteggiamento per nulla coerente avrebbe creato lamentele e malumori tra i suoi compaesani. Ma di fronte al suo sguardo fisso e risoluto, avvertendo ancora la stretta della sua mano che non mollava la mia, annuii sommessamente, come Fantozzi dinanzi al direttore mega galattico.
Quando finalmente si decise a lasciarmi la mano ormai indolenzita, il parroco sentenziò: “Bravo, ricordati che il re non porta corna”. È un detto calabrese che significa: chi comanda è al di sopra della legge e delle regole. Insomma, era nella posizione di poter predicare bene e razzolare male. E soprattutto bere meglio.
Dopo qualche giorno, ripensai all’accaduto, a quel pranzo un po’ grottesco così intriso di italianità. Se solo avessi ripreso con la telecamera quel banchetto avrei potuto partecipare a un festival del cinema, proponendo un filmato capace di raccontare le pecche e le virtù italiche con grande realismo e una buona dose di ironia.
Sono trascorsi almeno quarant’anni da quell’indimenticabile convivio: noi italiani siamo e saremo sempre così. La prossima volta, però, mi organizzerò meglio. Sono certo di portare a casa il premio alla miglior sceneggiatura originale.
Robi